dott. Massimiliano Appolloni - Trento

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CURRICULUM VITAE   

Laurea in Medicina e Chirurgia conseguita nel 1960.

Specializzazione in Odontoiatria e Protesi Dentaria contemporaneamente alla frequenza, come medico volontario, presso la Clinica Odontoiatrica dell’Università la Sapienza di Roma fino al 1962.

Dal 1968 al 1971 frequenza a corsi di specializzazione all’estero.

Già Membro del GISI. (Gruppo Italiano Studi Implantari - Presidente prof. Giordano Muratori). Già Membro della SO.ME.COI. (Società Medico - Chirurgica Odonto - Implantologica). Già Membro Docente in Corsi del Gruppo Brasiliano di Studi Implantari di San Paolo - Brasile (Grupo Brasileiro Estudos Implantares S.Paulo - Brasil). Attualmente Membro dell’Accademia Italiana di Stomatologia Implantoprotesica. (A.I.S.I) Diplomi conseguiti all’Estero e in Italia.

Esperienza quasi trentennale (dal 1972) di tutte le metodiche implantologiche esistenti. Autore di articoli scientifici e collaboratore nella rivista internazionale “Leadership Medica” www.leadershipmedica.com (redatta in lingua italiana e inglese).

Autore del testo: “Atlante Pratico di Implantologia Dentale” Edizione Edi.Ermes. 1989 Milano. Invitato più volte alle reti nazionali TV per esporre, in ripresa diretta sul paziente, la metodologia dell’implantologia endossea e iuxta-ossea.

Richiesto dal prof. Leonard Linkow - New York (inventore degli impianti a lama)- per illustrare su un testo internazionale dallo stesso redatto e di prossima uscita, un particolare sistema di implantologia dentale.

Abilitato ad insegnare alla Facoltà di Odontoiatria dell’Università dell’Avana - reparto di chirurgia maxillo-facciale - i vari metodi tradizionali di implantologia dentale.

Incaricato dall’Università di Chieti come professore a c. nel Corso di Perfezionamento in : Implantologia Clinica e Biomateriali”.

Iscritto nell’Albo dei Consulenti Tecnici del Giudice di Trento in data 18/12/2000.






IN CORSO DI PUBBLICAZIONE



IL PRIMO TESTO del 1989



 

Di seguito sono pubblicati tre articoli del dott. M. Apolloni tratti da Leadership Medica


1

Da molto tempo non si parla più, se non in qualche congresso, dell'implantologia dentale eseguita con aghi di titanio.

Eppure è una tecnica validissima, che è possibile mettere in atto con risultati più che soddisfacenti, anche in tutti i casi nei quali le altre metodiche non possono essere applicate.

Con tale metodo vengono inseriti nell'osso mascellare o mandibolare, privo di denti, dei sottili aghi di titanio del diametro di mm. 1,2    

che creano delle radici di supporto sulle quali poi fissare i denti artificiali.

Essendo il diametro tanto ridotto, tali impianti possono essere usati anche quando il tessuto osseo abbia uno spessore minimo, senza pertanto la necessità di ricorrere ad interventi chirurgici di innesto, oltretutto più invasivi.Essi lasciano tuttora perplessi, per una serie di effetti collaterali, tra i quali l'incertezza sulla riuscita dell'intervento stesso.

Da non trascurare anche l'aspetto doloroso di simili operazioni.Il metodo di cui stiamo trattando è stato ideato negli anni '60 da un dentista francese di nome Scialom, purtroppo è stato applicato per un breve periodo; successivamente però è stato abbandonato.

Probabilmente ciò è accaduto, poiché nella ricerca ogni innovazione presenta delle problematiche irrisolte, ed è quindi necessario perfezionarla.

Per eseguire un intervento di implantologia con aghi al titanio, occorre avere, da parte dell'operatore, una buona manualità, in quanto gli stessi aghi vengono infissi talvolta in zone di minimo spessore osseo. Tutto ciò non incide sulla qualità del metodo, di per sé ottimo.

E' chiaro tuttavia che la sua applicazione richiede una maggiore preparazione professionale, la quale stranamente non si ottiene in ambito universitario. Un altro ostacolo all'applicazione di questa tecnica è rappresentato dall'industria del settore, che per ovvi motivi di commercializzazione, propone quel tipo di impianti che possono essere usati da tutti più facilmente, con protocolli standard.

In ogni caso questa tecnica, pur avendone tutti i requisiti, non è tuttora approdata alle Università e pochi ne riconoscono l'effettiva validità. Tra gli aspetti positivi è da annoverare anche la contrazione dei tempi, che consente al paziente, di avere quasi subito denti fissi e stabili , senza dover aspettare mesi come con i metodi più moderni.

L'inserzione dell'ago nel tessuto osseo si ottiene infatti con un trauma minimo e la ferita è praticamente inesistente, simile a quella dell'ago di una puntura ipodermica.

Le critiche pretestuose che vengono formulate a questo tipo di intervento sono per lo più inconsistenti. Si dice ad esempio che l'intervento non è codificabile e ripetibile con il modello standard; questo non è esatto, in quanto, una volta acquisita, l'applicazione di questa tecnica non assolutamente difficile.

Per unire gli aghi fra di loro nella parte emergente dalla gengiva e formare in tal modo dei monconi artificiali su cui vengono fissati i denti, si deve usare un particolare attrezzo, la cosiddetta "sincristallizzatrice"   , che certamente tutti gli odontoiatri conoscono.

Tuttavia va ricordato tale apparecchio è stato messo a punto, da molti anni, dal Dottor Pierluigi Mondani di Genova ed è ormai utilizzato con successo dalla comunità scientifica internazionale per la sua praticità e innocuità.

Attraverso questa macchina le parti metalliche in titanio vengono saldate in un lasso di tempo molto breve, di modo che il calore prodotto dall'operazione non è neppure percepibile.

Questo è un aspetto della massima importanza poiché i tessuti gengivali non vengono compromessi dalla temperatura prodotta dall'elettrosaldatura.

Si tratta di un atteggiamento anacronistico; sarebbe come non voler riconoscere la chirurgia cardiaca attuale, solo per il fatto che non tutti i chirurghi sono in grado di praticarla. Ovviamente il metodo ad aghi tuttavia è solo uno, fra i tanti tradizionali, che dovrebbe invece essere ritenuto complementare a quelli già esistenti e all'ultimo uscito, cioè quello di Branemark, a torto ritenuto il solo osteointegrabile. Quest'ultimo si avvale di impianti piuttosto voluminosi di forma cilindrica, i quali, per essere inseriti come radici artificiali, devono disporre di un tessuto osseo abbastanza voluminoso, altrimenti si rendono necessari interventi di chirurgia maxillo-facciale spesso invasivi e traumatizzanti. E' necessario insomma adeguare il tipo di impianto odontoiatrico alle esigenze dell'individuo, e non adottare, pedestramente, il medesimo impianto per ogni paziente. Del resto tutta la medicina è ormai orientata ad utilizzare, soprattutto in chirurgia, tecniche non invasive e quindi anche l'odontoiatria dovrebbe allinearsi a questa tendenza.

 



2

Gli impianti dentali sono realizzati mediante radici artificiali di materiale bio compatibile (titanio) posizionate nell’asso mascellare o mandibolare.

Di tali radici esistono vari modelli e misure: a forma di vite, d’ago, di cilindro.

Gli impianti a forma d’ago (mm.1,2 di diametro e qualche centimetro di lunghezza), e quelli a forma di vite (qualche millimetro in più di diametro) vengono inseriti nel foro sottile predisposto nel tessuto osseo (ovviamente utilizzando strumenti adeguati) facendoli ruotare su se stessi fino ad ottenere una buona profondità nello stesso.

Le viti così inserite restano subito fisse a causa delle loro spire.

Gli aghi invece hanno una superficie liscia, ottengono altrettanta stabilità, tuttavia, dopo l’inserimento, è necessario unirli con elettrosaldatura nelle parti che emergono dalla gengiva.

Queste parti fungono da monconi sui quali verranno inseriti i denti.

Inoltre sempre con gli impianti a vite o ad ago, si ha la possibilità di variare la loro dimensione a secondo della qualità del tessuto osseo disponibile.

Dall’esperienza acquisita risulta che con questo metodo gli impianti ad ago o a vite consentono al paziente di uscire subito dallo studio odontoiatrico con una protesi fissa.

Impianti cilindrici o conici. 

Per gli impianti cilindrici o conici, è necessario applicare una diversa metodologia, in tempi diversi.

È necessario anche, per inserire l’impianto, avere più disponibilità di tessuto osseo, tale da poter eseguire impianti di un certo volume.

Inoltre, non essendo subito conglobati nel foro nel quale sono stati immessi, è indispensabile aspettare alcuni mesi affinché si fissino definitivamente all’osso, il tempo per ottenere la cosiddetta “osteointegrazione”.

Nel caso poi di scarsa disponibilità di tessuto osseo, a volte occorre fare addirittura degli innesti di tessuto osseo trasportati anche da parti come il mento, le costole, ecc., ed in questo casi i tempi si allungano.

 

Sono evidenti dunque i vantaggi ottenuti da certi metodi nel confronto di altri derivanti da una lunga e documentata esperienza.

Tuttavia, spesso viene utilizzato il “metodo Branemark”, malgrado sia più invasivo e doloroso.

 

Di seguito l’illustrazione dei metodi precedentemente esposti.

CASO N.1

Impiantologia post-estrattiva immediata con viti autofilettanti.

Sono evidenti le parti emergenti sulle quali verranno fissati i denti.

 

Radiografia che mostra le parti delle viti che stanno infisse nell’osso mandibolare. 

 

CASO N.2

Impiantologia post-estrattiva eseguita con aghi subito dopo estrazione di denti irrecuperabili.

Le parti emergenti che si vedono nella fotografia verranno fra di loro unite con elettrosaldatura (mediante un’apparecchiatura a norma CEE appositamente progettata per tali interventi) e formeranno la struttura sulla quale poi si fisseranno i denti artificiali.

 

Radiografia che altrettanto evidenzia, come nel caso delle viti, le parti degli aghi inseriti nell’osso mandibolare.


CONFRONTO

Esempio di un provvisorio fisso inserito subito dopo terminata l’impiantologia sia che il caso sia stato realizzato con viti autofilettanti che con aghi di Scialom (il definitivo sarà esteticamente ancora più perfetto).


 

Impianti tipo Branemark.

A differenza degli impianti a vite od ad ago per inserirli è anche necessario, oltre che asportare dei veri e propri cilindretti di osso, scollare tutta la fibromucosa gengivale (come da foto). Dopo un periodo di due o tre mesi, quando cioè si saranno fissati e la gengiva completamente guarita, verranno avvitati nei loro fori centrali, ben evidenti nella figura, le parti emergenti o meglio i monconi sui quali verranno poi fissati i denti.

 

CASO n.3

IMPIANTOLOGIA AD AGO IN TESSUTO OSSEO A LAMA DI COLTELLO

(NON SI E’ RESO NECESSARIO ARRIVARE ALL’INTERVENTO, ABBASTANZA TRAUMATIZZANTE, DI INNESTO DI TESSUTO OSSEO COME SI VEDE NELL’ULTIMA FIGURA PRESENTATA)

 

Sequenza di impiantologia ad ago in una cresta ossea incisale superiore molto ridotta in spessore, senza la necessità di ampliarla in larghezza con innesti ossei.

Aghi inseriti in parti divergenti fra loro e delimitazione con strumento della cresta ossea per evidenziarne la sua sottigliezza.

 

Tutti gli aghi sono inseriti.

 

Unione mediante fili di titanio e saldatura delle parti emergenti degli aghi. Nelle zone distali, come da panoramica che segue, sono stati immessi impianti con diametro maggiore.

 

Panoramica di controllo a fine lavoro nella quale si possono notare anche gli impianti di diametro maggiore (viti autofilettanti inserite ove il tessuto osseo, aveva uno spessore superiore)

 

Lavoro impianto-protesico terminato.

 

 

Nel caso sopra descritto, pur se il tessuto osseo nella zona incisale era sottilissimo (a lama di coltello), non è stato necessario intervenire nel modo illustrato nella figura a lato e cioè con innesti di tessuto d’osso trasportati da altre parti dello scheletro (molto traumatizzante e con tempi di guarigione assai lunghi).

 

In questo caso, causa un intervento chirurgico non da me eseguito, era stato asportato nella parte destra della mandibola una grande quantità d’osso. Era stata poi realizzata una protesi amovibile fissata con attacchi (a bottone) sulle radici residue che si vedono nella fotografia. Tale protesi però era assolutamente instabile e quindi poco funzionale. Non potendo, anche a causa dell’età della paziente (anni 70) eseguire interventi troppo traumatizzanti con innesti d’osso, con l’aiuto della TAC e con impianti molto sottili ad ago, è stato portato a termine il lavoro impianto-protesico che si può osservare nella foto

Caso terminato. E’ evidente la buona estetica ottenuta. Anche la fibromucosa gengivale sul lato destro della paziente, non più compressa della protesi mobile è un po’ risalita e in tal modo la lunghezza dei denti pure in questa zona è abbastanza accettabile (riferendosi comunque solo al fattore estetico dato che la funzionalità è ottima).

TAC dell’emimandibola di dx, della parte cioè che ha più interesse per la sua grande riduzione del tessuto osseo (in altezza).

Sebbene tali impianti abbiano in realtà il diametro di mm 1,2, quindi molto sottili, probabilmente per un artifizio tecnico in questa tomografia sembrano di diametro maggiore.

Comunque è evidente come gli impianti ad ago inseriti passano prima da un lato e poi dall’altro del nervo mandibolare, ove secondo l’andamento del medesimo nella mandibola, c’è lo spazio per poterli immettere: in tal modo quindi lo scavalcano senza lederlo minimamente Il piccolo punto bianco, per quanto sia possibile notarlo in tale riduzione minima della tomografia, è appunto il nervo mandibolare completamente risparmiato dagli impianti ad ago introdotti.

 

3

CONSIDERAZIONI SULLE TECNICHE IN EVOLUZIONE

Origini dell'Implantologia

L'implantologia dentale è quella branca dell'odontoiatria per mezzo della quale, quando una persona rimane in parte o totalmente priva di denti può riavere, mediante delle radici dentali artificiali inserite al posto di quelle perdute, nuovamente i denti che su tali radici vengono fissati. 

La metodica ha alle spalle lunghissimi anni di studio.  

Fin dai tempi più remoti, infatti, si è cercato con sistemi e materiali diversi, di sostituire i denti mancanti.  

E' ben comprensibile comunque la difficoltà dell'impresa, se solamente ai nostri giorni si è arrivati finalmente a mettere a punto delle metodologie che risolvono, nella maggior parte dei casi, tale problematica. 

Già gli Aztechi, gli Egizi, i Cinesi, gli Etruschi, fino ai tempi più moderni della dominazione araba in Spagna, tanto per fare riferimento ai popoli che ci hanno preceduto nei secoli in questa ricerca, hanno tentato di praticare l'implantologia dentale. 

Scavi archeologici e ritrovamenti tombali hanno portato alla luce crani e ossa mandibolari nei quali, al posto di qualche dente mancante, erano stati inseriti degli elementi ricalcanti la forma, più o meno ben modellati, dei denti umani.

I materiali usati per ottenere questi denti erano ricavati  talvolta da valve di conchiglie, talaltra da particolari pietre o addirittura, come in un caso riportato su un numero della rivista Nature (Gennaio '98), la radice inserita nell'alveolo vuoto, fu scoperta essere di ferro lavorato e martellato al fuoco.  

E' sorto naturalmente, fra i ricercatori, il dubbio che tali impianti  dentali, dato il culto dei morti esistente nell'antichità, fossero stati inseriti “post mortem”. Sembra però che in vari  casi  di ritrovamento, gli impianti siano stati inseriti in vita, e abbiano anche funzionato per un certo periodo. 

Lasciando ora da parte i reperti storici, si può affermare che ormai sono più di 70/80 anni che fervono seri studi attorno a questa branca dell'odontoiatria.  

Pur ammettendo che, a confronto di altre specialistiche mediche o chirurgiche, curanti infermità che possono  mettere a repentaglio la vita, l'implantologia dentale riveste un'importanza secondaria, essa è tuttavia di grande utilità. 

Per nostra buona sorte ci furono professionisti che si applicarono con fervore quasi religioso a trovare il sistema di reimpiantare i denti, di modo che fossero stabili come quelli naturali. 

E' doveroso ricordare, seppure con rapidi accenni, alcune tappe dell'iter implantologico nei tempi più recenti.  

E proprio perché noi italiani siamo spesso particolarmente esterofili, voglio sottolineare che fu un italiano a dare inizio a quel filone di studi che, negli ultimi decenni, ha portato all'affermazione e al riconoscimento di questa metodica. 

Si tratta del dott.Formiggini di Modena, che nella seconda metà degli anni '40, ideò un impianto in metallo “a forma di spirale”, da inserire negli alveoli  dei denti estratti.  

Egli riteneva che fra le varie spire si sarebbe generato del tessuto osseo o fibroso, il quale, trattenendo questa particolare radice, avrebbe poi permesso di fissare sulla stessa, nella parte emergente della gengiva, dei denti fissi. 

In realtà ben  prima di Formiggini altri ricercatori come l'americano Strock e lo svedese Dahl (inizio '900) avevano cercato rispettivamente di inserire in profondità nel tessuto osseo, privo di denti, o di appoggiarvi sopra, delle particolari radici metalliche, sulle quali poi fissare dei denti artificiali.  

Gli impianti furono chiamati "endossei" se inseriti in profondità, e “iuxtaossei” se invece venivano solo appoggiati sul tessuto osseo, quando questo era scarso e non permetteva di inserirli in profondità. Tali metodi, tuttavia, probabilmente a  causa dei tempi, delle attrezzature poco adatte, della mancanza di materiali adeguati, non riscossero allora i risultati sperati, finché con l'avvento di un'epoca più vicina a noi (attorno agli anni '50/'60), si incominciarono ad ottenere i primi successi.  

C'è da essere grati pertanto a quei precursori  (Cherchev, Muratori, Tramonte, Pasqualini, Linkow, Scialon, il citato Formiggini e parecchi altri), dei quali molti ormai scomparsi, che portarono avanti in modo determinante la ricerca. Per merito loro anche in Italia, oltre che in America, in Francia, in Argentina, L'implantologia dentale incominciò a prendere piede e a diffondersi e dare risultati soddisfacenti. 

Purtroppo tutti questi ricercatori - che scoprirono il metodo e cominciarono a diffonderlo - non seppero mai accordarsi fra loro e rendere ufficiali e credibili le loro scoperte.  

A loro discolpa va detto che essi furono spesso, anzi quasi sempre, aspramente combattuti dalle Università e dalla Scienza Ufficiale, forse perché non si riteneva che dei semplici privati  potessero portare a compimento una così grande scoperta, la quale, per i tempi, aveva del miracoloso.  

E tale ostilità nei confronti dei precursori  non si è ancora del tutto spenta, poiché continua l'assurda diatriba tra coloro che praticano sia i metodi tradizionali che quelli moderni  e coloro che invece si avvalgono solo di questi ultimi.  

Come ricordato l'implantologia dentale fu in passato molto contestata e anche quando la si dovette accettare - dato che era diventata realtà incontestabile - si continuò ad affermare che su quella disciplina non erano mai state svolte serie ricerche.  

Secondo mal fondate opinioni l'implantologia dentale sarebbe da accettarsi solo perché uno scopritore svedese (che tra l'altro non è nemmeno dentista) ha reso noto ciò che da moltissimo tempo i vecchi ricercatori avevano cercato invano di mettere in evidenza.  

E cioé che delle radici artificiali (naturalmente di metallo inerte che non dà reazione), se immesse nel tessuto osseo e mantenute ferme e stabili fin dal primo momento della loro inserzione, si includono perfettamente nello stesso. 

Fu subito coniata allora la parola “osteointegrazione”, che altro non è che “l'osteoinclusione” dei vecchi ricercatori! Attualmente si vuol far credere che solamente con gli impianti dell'ultima generazione, cioé con quelli inventati dallo scopritore svedese e simili, si possa ottenere la cosiddetta  “osteointegrazione”.  

Ciò non è vero! La maggior parte degli impianti, se ben eseguiti, si “osteoincludono”, poichè i principi delle metodiche, sia moderne che tradizionali, rimangono sempre i medesimi.  

Sotto un'ottica più corretta, anzi i vari impianti e metodi esistenti (sia tradizionali che moderni) sono fra loro complementari si completano a vicenda.  

Conoscendo infatti più metodi  ed usando diversi tipi di impianti, date le stesse varianti anatomiche dell'osso mandibolare e mascellare, è possibile risolvere in modo più soddisfacente e completo, quasi tutti i casi si presentano all'osservazione e nella pratica professionale. 

Come corollario a quanto ho sinteticamente esposto, c'è da dire che purtroppo tutta l'implantologia tradizionale - attraverso la quale è possibile risolvere egregiamente il 99% dei casi di edentulia (mancanza di denti) - se continuamente combattuta e respinta, nei prossimi anni andrà a morire.  

Rimarrà al suo posto l'ultimo metodo uscito, quello chiamato a torto “il solo osteointegrato”, che va pur bene ed inoltre è molto  semplice da eseguire, quando c'è abbondanza di tessuto osseo nel quale inserire gli impianti abbastanza voluminosi e cilindrici proposti da questo sistema, ma richiede l'intervento della chirurgia maxillo facciale, con interventi piuttosto traumatizzanti ed invasivi, amplia il sito ove inserire gli impianti, mediante innesti di tessuto prelevati e trasportati da altre parti dello scheletro: dal bacino (cresta eliaca), dalla teca cranica, dalle costole, e, quando è possibile, dal mento. 

A parte il lungo periodo di tempo necessario, in tal modo, prima che il paziente possa avere i denti definitivi, non tutte le persone sono disposte a sottoporsi a simili interventi, specialmente se sono avanti negli anni.  E' da prevedere quindi  che un buon 60/70% di coloro che con metodiche tradizionali, possono usufruire dell'implantologia, qualunque età abbiano, dovranno, se così si continua a pensare e ad agire, in un prossimo avvenire rinunciarvi!  

L'ostracismo infatti, verso i metodi tradizionali, è arrivato al punto che persino ogni rivista specialistica e scientifica nel campo odontoiatrico, rifiuta categoricamente  di pubblicare dei lavori impianto-protesici, seppure perfetti sotto ogni punto di vista, qualora siano stati realizzati con i metodi tradizionali. 

I cattedratici che conoscono e applicano unicamente l'ultimo metodo scoperto, quello cosiddetto “Osteointegrato”, solo questo insegnano ai loro allievi nelle università e, come un tempo si opponevano all'implantologia dentale in generale, ora negano la validità di qualsiasi altra metodica che non sia quella da loro proposta e praticata. 

E' veramente un peccato, ma anche una grande ingiustizia (con gravi conseguenze sociali), che dopo tanti sforzi e tanti studi per dare a quasi tutti coloro che ne necessitano, una dentatura bella, funzionale e fissa, attualmente, per assurde e false prese di posizione, per voler semplificare tutto al massimo, ma anche per motivi di marketing, si voglia distruggere un patrimonio di esperienza e di cultura odontoiatrica ormai inoppugnabile! 

 

IMPLANTOLOGIA CLASSICA: Metododica Emergente ad AGHI

OSTEOINTEGRAZIONE: DIMOSTRAZIONE ISTOLOGICA

La fotografia mostra un preparato istologico "per usura" del prof. Karl Donat dell'Università di Amburgo. E' la sezione a fortissimo ingrandimento di un ago immesso nell'osso che si è perfettamente osteointegrato. L'ago è stato estratto, insieme al tessuto che lo circondava, per motivi di studio dal dott.Pierangelo Manenti di Bergamo. Faceva parte infatti di un'implantologia realizzata con aghi che era in sito da vari anni e che è stata rimossa dallo stesso collega che l'aveva eseguita e quindi spedita alla sopra ricordata Università dove furono fatte numerose sezioni (una quindicina) lungo tutta la sezione dell'ago ed allestiti i preparati istologici.

E' evidente dalla fotografia come tutt'intorno alla sezione dell'impianto, che fra il resto è completamente liscio sulla sua superficie e non mostra alcuna zigrinatura artificio affinchè l'osso circostante vi aderisca meglio, il tessuto osseo si sia fortemente addossato allo stesso e compattato. Esempio del genere se ne potrebbero riportare a decine per non dire a centinaia per i più svariati tipi di impianti, purchè siano rimasti immobili nel tessuto osseo per un dato periodo di tempo.

Non è infatti la forma dell'impianto o la metodica operatoria che ne favorisce l'osteointegrazione bensì l'immobilità dello stesso nel tessuto osseo.

L'immobilità degli impianti, una volta immessi, si possono ottenere sia seppellendoli nel tessuto osseo e lasciandoli in quiete implantare per alcuni mesi, sia unendoli fra di loro quando si tratta di impianti on monconi subito emergenti, sia bloccando con dei ponti armati a denti vicini, sia ancora, quando è possibile, inserendo gli impianti molto profondi.

Di conseguenza non è solo con l'implantologia "Moderna" e quindi con gli impianti a forma conica o cilindrica che si possa ottenerea tanto ricercata"osteointegrazione", ma con quasi tutti i tipi di impianti, purchè l'operatore riesca ad ottenere in qualche modo la loro fissità e immobilità sin dal primo momento che li ha immessi nel tessuto osseo.

L'Implantologia "Classica" è insostituibile nei casi di pazienti con poco osseo e indisponibili  agli interventi rigenerativi maxillo-facciali

Impiantologia Classica - Metodica ad Aghi

Infissione di strutture sottili, formazione di "Tripodi". In osso mandibolare scarso per spessore e profondità.

Implantologia "Moderna"

Cilindri inseriti con tecnica a due tempi (sommersi). L'osso è sufficientemente voluminoso per contenerli.

Implantologia "Moderna"

Carotaggi ossei (sin.) e Fixture inserite.

L'osso è abbondante e consistente.