Cassazione – Sezione Terza Civile

Sentenza 23 aprile – 27 giugno 2007 n. 14840 - (1649)



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOO ITALIANO

Cassazione – Sezione terza civile – sentenza 23 aprile – 27 giugno 2007, n. 14840

Presidente Preden – Relatore Calabrese

Pm Fedeli – conforme – Ricorrente ... – Controricorrente De Caio

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del giugno 1989 il prof. Franco ... conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma il dott. ... De Caio, odontoiatra, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni conseguenti ad intervento odontoiatrico eseguito dallo stesso.

Il convenuto, costituitosi, contestava la domanda, rilevando, in particolare, che l'intervento era stato eseguito correttamente e secondo le regole della scienza odontoiatrica.

Il Tribunale, disposta consulenza medica, con sentenza del 22.11.1993 riconosceva in favore dell'attore la somma di L. 14.000.000, oltre gli interessi.

Il prof. ... proponeva appello dolendosi della riduzione della domanda risarcitoria.

La Corte d'appello di Roma, in contraddittorio dell'appellato, con sentenza del 3.4.2002 rigettava l'appello.

Per la cassazione della sentenza lo stesso prof. Franco ... ha proposto ricorso con tre motivi. Ha resistito il dott. ... De Caio con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Nel primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione di legge (artt. 1223. 1224, 1227, 2056 e 2058 c.c.), il ricorrente censura la sentenza impugnata relativamente all'attribuzione degli interessi legali sulla somma liquidata a far data dalla sentenza cui era riferita la liquidazione, anziché da quella del fatto illecito.

Il motivo va disatteso.

Come evincesi logicamente dalla sentenza, la Corte territoriale romana, proceduto alla liquidazione del danno all'attualità, correttamente ne ha fatto discendere la decorrenza degli interessi dalla data della sentenza, rilevando al contempo che l'eventuale maggior danno da ritardo nel pagamento dovesse essere allegato e dimostrato in concreto, del che l'appellante/odierno ricorrente non aveva fornito elementi.

Nel secondo motivo, impostato sulla violazione e falsa applicazione degli artt. 1226, 2043, 2053 e 2059 c.c., il ricorrente si duole della determinazione del risarcimento del danno biologico.

Anche questo motivo va disatteso.

Congrua e non infìciata da vizi di diritto è infatti la motivazione della sentenza impugnata al riguardo, avendo i giudici d'appello evidenziato come risultasse dalla tabella di riferimento per la liquidazione del danno biologico in uso presso il Tribunale di Roma - «cui lo stesso appellante [odierno ricorrente] fa[ceva] riferimento negli scritti conclusionali» - che un punto percentuale di invalidità, per la fascia d'età cui l'attore ... era compreso alla data del sinistro e per le “micropermanenti” dell'ordine dei 5-6 punti percentuali, era stimato all'epoca della sentenza impugnata in circa L. 1.600.000; che il primo giudice, parametrando invece il risarcimento dovuto sulla base della somma di L. 2.000.000 per ogni punto di invalidità, si era dunque discostato per eccesso di circa il 25% dalla media delle liquidazioni operate nei casi simili, dimostrando di tenere adeguato conto dell'incidenza del danno sulla capacità di lavoro specifica dell'attore.

All'uopo hanno invero sottolineato che in giurisprudenza la "cenestesi lavorativa" non costituisce una autonoma voce di lucro cessante ma impone di personalizzare con un adeguato aumento percentuale il risarcimento ordinariamente praticato del danno biologico corrispondente.

Gli stessi giudici d'appello hanno quindi in concreto considerato che l'adeguatezza della liquidazione operata dal primo giudice risultava del resto confermata dalla tabella approvata con la legge n. 57/2001, che per sei punti percentuali di invalidità a 49 anni d'età prevede una indennità inferiore ai dieci milioni, in termini monetari sensibilmente svalutati rispetto all'epoca di riferimento della sentenza impugnata.

Nel terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c. e vizi di motivazione. Deduce che sono state liquidate somme minori di quelle richieste senza alcuna motivazione, nonché è stato omesso il rimborso delle spese ex art. 15 della tariffa.

Il motivo è pure da disattendere, non indicandosi i limiti tariffari violati (e, peraltro, in ordine al primo grado, la relativa censura, come si desume dalla sentenza de qua, non risultava contenuta nell'atto di appello) mentre il rimborso forfettario delle spese generali ex art. 15 della Tariffa professionale forense spetta automaticamente (v. Cass. n. 603/2003).

In definitiva il ricorso va rigettato. Con la condanna del ricorrente, per soccombenza, alle spese del presente giudizio, come liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di Cassazione, liquidate in € 1.200, di cui € 1.100 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.