LETTERA DI UN MAESTRO

UNA VITA per ...UNA VITE

ottobre 2008


Da:          Dino Garbaccio [dino@garbaccio.it]

Inviato:    martedì 7 ottobre 2008 18.08

A:            corradini1956@alice.it

Oggetto:  re


Questa è la dimostrazione di come sia impossibile creare una vite in pochi giorni , cosa, invece, abituale al giorno d'oggi. Ogni giorno, infatti, nascono nuovi tipi di impianti. Dato che io non sono così intelligente ci ho messo  una vita......

Ciao

Dino

Biografia ed evoluzione di un impianto

Dr. Dino Garbaccio

Biografia

Nato a Biella il 7 febbraio 1923

Laureato in Chirurgia e Medicina nel 1949

Stage presso il "St.Yoseph Hospital" di New York - USA - (1950/1951)

Stage presso il "Benedectine Hospital" di Kingston - USA - (1951/1952)

Aiuto Chirurgo presso la "Clinica Villa Vialarda" di Biella (1953/1974)

Direttore del "Centro Stomatologico" di Arona (Novara) sino al 1982

Ideatore della "Vite Autofilettante Bicorticale" (primo Brevetto 1968 dopo molti anni di esperimenti)

Dal 1968 relatore in Conferenze e Congressi in tutto il Mondo


Evoluzione di un impianto

Il perchè ho incominciato non lo so, forse perchè sono sempre stato curioso di sapere, forse perché, quando io ho iniziato tutto il mondo era contro (creare una apertura significava creare una porta all'ingresso di germi patogeni), e allora, da buon spirito latino, ho seguito il motto "nitimur in vetitum semper, cupimusqe negata " ( Ovidio - Amores, III, 4,17  "Sempre ci sforziamo di ottenere quello che ci è vietato e desideriamo quel che ci si nega").

All’inizio degli anni sessanta ebbi il primo approccio con un collega ed amico italo-francese e con un impianto da lui usato: l'ago di Scialom, in tantalio. Da lui appresi la tecnica, non troppo semplice, che mi permise di fare i primi impianti. Ma, non essendo facile penetrare nella corticale, specie nella mandibola, data la mia indole che mi portava a ricercare il miglior risultato col minimo sforzo, iniziai ad usare il mio amico ‘drill’ per penetrare nella corticale, prima di inserire l’ago. Feci pochi impianti, perché per ognuno ne dovevo seguire l’evoluzione prima di valutare il risultato. L’unico conforto era quello di non aver creato danno, e in caso di insuccesso potevo sempre ricorrere alla protesi tradizionale. Con ciò, malgrado qualche risultato positivo, non ero del tutto soddisfatto e convinto di aver trovato l’impianto in grado di risolvere la maggior parte dei problemi. Dopo qualche anno passato da solo, con poche nozioni e poche pubblicazioni a disposizione, mi interessai alle viti di Tramonte, cercando piano piano di studiarne i risultati a una certa distanza di tempo. Confesso che i primi risultati non furono molto brillanti, però proprio dagli insuccessi cominciai a trarre le prime indicazioni che mi indirizzarono alla ricerca delle loro cause. Il primo passo lo feci modificando la vite di Tramonte: creai degli intagli verticali nelle spire trasformando così la vite in un grossolano maschiatore da ferro. Feci i primi esperimenti nell’osso (una costola di vitello), purtroppo non ottenni buoni risultati, le spire si torcevano producendo un macello, il materiale non era abbastanza duro (il titanio era di grado 2). Allora mi rivolsi ad un’officina di microtecnica che, copiando il tutto, ma modificando le spire da lamellari in coniche, mi permise di ottenere finalmente il risultato voluto. Nelle fasi successive arrivai al punto in cui guardandomi allo specchio, pensai quanto cretino fossi, dopo aver inserita una prima vite, doverla estrarre per metterne poi un’altra ben sapendo che era  impossibile creare una madrevite vera e propria in un osso, non essendo questo né di legno né di ferro, avrei creato maggior danno. Ero comunque ancora lontano dall’ottenere i risultati che mi ero prefisso. Ricordo, infatti, di come gioivo nel vedere un osso bello ampio, che mi sembrava l'ideale per contenere qualsiasi tipo di impianto...... ed invece era proprio quello che avrebbe portato ad un insuccesso. Demoralizzante! Al punto che mettevo in dubbio la mia mano chirurgica, il mio sapere, il mio cervello, che ritenevo non adatto allo scopo. Confesso di aver passato parecchie notti insonni. Ebbi modo di esaminare alcuni teschi, di sezionarli e di studiarne nei particolari la forma, la consistenza, e di simulare l’inserimento di un impianto qualsiasi. Cominciai così a rendermi conto di come nella spongiosa non vi fosse consistenza sufficiente per sostenere un qualsiasi tipo di manufatto. Non ricordo quando, ma più o meno nello stesso periodo, il Prof. Ugo Pasqualini dimostrò che gran parte degli insuccessi "ad eziologia ignota", dove si erano potuti escludere l'azzardo o l'errore chirurgico, le gravi malattie generali e lo squilibrio occlusale, erano dovuti allo scarso potere ritentivo del tessuto midollare, sia nel delicato periodo dell'osteogenesi riparativa, che nel successivo periodo della funzione dell'impianto nel tempo. Il solo ad aver capito l'importanza di questo concetto fu Scialom, che con i suoi aghi cercò l'appoggio alla corticale opposta.

In conclusione non è che un mattino svegliandomi abbia detto: oggi invento una vite che abbia caratteristiche tali da  ovviare a questo inconveniente, ma la mia vite nacque con particolari che nel volgere degli anni, con la continua ricerca e l’accresciuta esperienza, si sono modificati sino a raggiungere il disegno attuale. Tutto ciò sempre con il fine di ottenere la guarigione per prima intenzione. Nacque la vite bicorticale. 

La svolta del mio sapere avvenne intorno agli anni settanta, quando il Prof. Muratori per primo in Italia riunì un gruppo di studiosi e fondò un'associazione che chiamò GISI - Gruppo Italiano Studi Implantari, con sede a Bologna. Diede così a tutti l'opportunità di scambiarsi idee e proposte durante gli appuntamenti annuali nei Congressi da lui organizzati. Dobbiamo ricordare che in quei tempi era molto difficile proporre una linea implantare pur avendo fatto studi ed esperimenti per parecchi anni, tuttavia con caparbietà e grandi sacrifici si procedeva anche contro tutto e tutti, avversati soprattutto dai docenti universitari che non accettavano nessuna nostra proposta. Ognuno portava avanti le proprie idee sperimentandole con le sole proprie forze, senza il più piccolo aiuto né morale né materiale, essendo anzi osteggiato in modo così avvilente che solo per l'impegno e la costanza di pochi si riuscì a continuare e ad arrivare dove siamo arrivati. Da notare che coloro che più ci osteggiavano non avevano la più pallida idea di cosa fosse l'implantologia orale. Malgrado numerose difficoltà i risultati vennero e a dimostrazione della validità di ciò che è stato fatto, vediamo che in questo ultimo periodo coloro che negli ultimi anni hanno dettato le leggi implantologiche (con la sponsorizzazione delle grandi multinazionali) hanno reinventato quello che noi abbiamo ideato circa 40 anni fa. Purtroppo oggi, come allora, si lamenta un certo qual senso di sbandamento implantologico in mezzo a un marasma fatto da enormi quantità di pubblicazioni nate più  per dare risalto al nome dell'autore, che per dare un utile apporto alla scienza. Numerosi faccendieri con il solo scopo di fare soldi, senza nessuna preparazione, con la possibilità di fare della pubblicità, scopiazzando quello che si trova in commercio (ed è enorme e sconsiderato) ci hanno portato a un punto morto, a un punto tale per cui viene da domandarci se non si stava meglio  quando si stava peggio.

I congressi e i corsi ormai non si contano più, secondo me sono troppi. Ognuno porta l'acqua al proprio mulino esponendo “le virtù” del proprio manufatto, le cui basi non sempre hanno un substrato scientificamente valido; e così si tira avanti mostrando al mondo un disorientamento completo da cui i giovani non potranno mai avere una linea di condotta da seguire. Naturalmente i colpevoli siamo noi stessi che in mezzo a tanto polverone brancoliamo nel buio. Le direttive non sono concordi, i concetti si accavallano.