Denominata anche: “bifasica”, “a due tempi”, “a carico tardivo”.
Di scuola svedese, proposta da Branemark.
Si avvale di impianti in titanio di forma prevalentemente cilindrica, o cilindrico-conica.
Vengono inseriti nell’osso, previa incisione e scollamento della gengiva.
Poi sono lasciati a riposo, sepolti e senza poter essere utilizzati, per alcuni mesi (da 4 a 6, secondo le indicazioni classiche).
Si attende così la rigenerazione del tessuto osseo, la cosiddetta “osteointegrazione”.
A distanza di qualche mese si esegue una piccola incisione della gengiva per evidenziare nuovamente gli impianti ed avvitare ad essi la componente emergente (moncone), che porterà la protesi (uno o più denti artificiali).
Tale protesi può essere, a seconda del numero di impianti utilizzabili, sia mobile che fissa (avvitata o cementata agli impianti).
E’ la metodica più moderna, nel senso di nascita e applicazione.
Va diffondendosi perché la standardizzazione dei protocolli chirurgici e protesici, la rendono accessibile ad un numero più vasto di operatori; si basa infatti sull’adattabilità del paziente all’impianto, escludendo i casi con osso insufficiente, salvo sottoporre il paziente ad un preventivo intervento di “aumento dell’osso”, prelevandolo dal cranio o dal bacino od anche con osso artificiale.
Interessa oggi molto l’industria produttrice, che attua e finanzia il relativo “marketing scientifico”.
Vedi anche l'articolo: "L'unica Implantologia: la polemica"
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