L’Antichità
Il reperto Etrusco di Valsiarosa – Falernii Veteres (Viterbo - Civita Castellana), riconducibile al V secolo a.c., è la più antica testimonianza di un tentativo di impianto endosseo dentale post-estrattivo.
Consiste in una mandibola umana totalmente edentula, ma con alveoli ancora beanti, segno di recentissime e contemporanee avulsioni dentarie, verosimilmente causa di setticemia e quindi del decesso. In essa, in regione premolare e molare inferiore sinistra, è inserita una struttura in lamina d’oro, verosimilmente idonea a supportare elementi dentari artificiali.
Risale alla fine del I secolo d.C. il reperto Gallico-Romano di Chantambrè (Essonne-Francia) . Nella Necropoli è stato rinvenuto un cranio umano con inserito, nell’osso mascellare, un perno intraosseo in ferro forgiato a mano, lavorato a fuoco, in sostituzione del secondo premolare superiore di destra. L’impianto è solidale all’osso testimoniando l’avvenuta integrazione. Considerato il rispetto dell’anatomia alveolare, si tratta verosimilmente di un inserimento successivo ad un'avulsione recente.
E’ databile intorno al 6-700 d.C. il reperto Maya rinvenuto nel 1931 a Playa de Los Muertos (Honduras), ad opera di W. Popenoe, oggi conservato presso il Peabody Museum dell’Università di Harvard. Trattasi di un frammento di mandibola umana, della zona mentoniera, che presenta inseriti negli alveoli naturali alcuni denti ed anche tre incisivi artificiali ottenuti da valve di conchiglia.
Inizialmente si pensava ad una testimonianza rituale post-mortem.
Ma verso gli anni ’70 il genovese prof. Amedeo Bobbio, docente in discipline implantologiche presso l’Università di San Paolo (Brasile), conferma radiologicamente l’osteogenesi attorno ai pezzi di conchiglia inseriti, che testimonia assai verosimilmente un intervento di implantologia orale.
L’osteointegrabilità del materiale (Conchiglia Tridacna) è stata poi anche confermata da una sperimentazione effettuata dal dott. M.E. Pasqualini presso il Policlinico di Milano, su tibie di ratti vivi. Inseriti dei frammenti sterilizzati di valva conchigliare e trascorsi tre mesi, si è constatata la biocompatibilità istologica del materiale incluso, non essendosi riscontrata interposizione di tessuto fibroso.
Bisogna aspettare il ‘700 per avere notizie di tentativi di impianti dentali, trattandosi in realtà di reimpianti, ossia il reinserimento di elementi persi traumaticamente, o di trapianti, cioè l’inserimento in alveoli beanti di elementi prelevati da donatori o da cadaveri.
1800
Ad inizio secolo Rogers (Parigi), Harris (California) ed Edmons (New York) tentano impianti intraossei usando denti in ferro.
Maggiolo, italiano di Chiavari, nel primo decennio, confeziona impianti endossei in oro, relazionandone nel suo testo, in lingua francese, Manuel de l’art dentarie. Trattatasi di strutture la cui parte radicolare conica presenta tre occhielli ideati per trattenere l’osso; la porzione emergente consiste in una sorta di bottone, per l’ancoraggio protesico.
Nel 1891 J.F. Wright propone un dente in porcellana con zona radicolare porosa per facilitare l’attecchimento nell’alveolo.
Nel 1892 C.E. Friel, apporta fori radicolari all’impianto in ceramica di Wright , allo scopo di creare un drenaggio in caso di sviluppo di ascesso periapicale.
F.W. Levis colloca denti artificiali in alveoli chirurgici.
Prima metà del 1900
R.E. Pajne (1900) adotta impianti in argento.
Ad inizio secolo W.G.A. Bonwill e School praticano l’implantologia endossea utilizzando manufatti in oro o in argento, constatando erosione del metallo e riassorbimento dell’osso circostante.
Nel 1909 Grienfield sperimenta impianti dentali in iridioplatino e nel 1913 ottiene il brevetto. Trattasi del primo impianto “a due tempi”: strutture a cestello da posizionare in un alveolo artificiale ottenuto scavando l’osso con frese cave, su cui si fissa un moncone.
Casto nel 1914 e Kauffer nel 1915 riferiscono di aver risolto alcuni casi di edentulia parziale ancorando protesi fisse ad impianti endossei spiraliformi in iridioplatino.
Nel 1934 Abel inserisce nell’osso viti endossee in porcellana per ancorare protesi fisse.
E Adams, nel 1938, realizza la prima vite piena, filettata.
Lo stesso anno, lo svedese Dhal applica il primo impianto iuxtaosseo-sottoperiosteo mandibolare, forgiato a griglia per l’appoggio osseo, da cui emergono quattro monconi per l’ancoraggio protesico. L’intervento suscita scalpore nel mondo accademico locale, tant’è che dovette rimuovere l’impianto dopo pochi mesi, nonostante il successo clinico, pena il ritiro della licenza professionale.
Nel 1934-39 Strock sfrutta il Vitallium (cromo-cobalto-molibdeno), lega biologicamente inerte, a scopo implantologico. Inserisce nell’osso mandibolare delle viti piene autofilettanti, a due tempi, che protesizza con discreto successo, ma non ebbe riscontri favorevoli dalla comunità scientifica americana e nemmeno europea.
Sempre ai fratelli Strock, nel 1943, è attribuita la paternità dei primi impianti endodontici o transradicolari, ideati per stabilizzare denti vacillanti mediante transfissione, conservandoli.
Nel 1944 Killabrew, Goldberg e Gerhkoff compiono studi di metallurgia implantologica.
E nel 1945 Lakner di Edimburgo propone un modello particolare di impianto, consistente in tubi cavi.
L'uruguaiano Malaquiaz Souza, applica e sperimenta ancora impianti transradicolari.
Lubit e Rappaport, nel 1949, impiantano nell’alveolo grosse viti a forma di radice dentaria.
Dal 1950 agli anni '80
E' Manlio Salvatore Formiggini, italiano di Modena, che nel 1947 conferisce un consistente input all’implantologia. Va considerato il padre dell'implantologia moderna. Realizza, in filo di acciaio, viti cave a spirale e le applica, con discreti successi, mediante la tecnica di “Infibulazione diretta endoalveolare”. Gli spetta il particolare merito di aver avviato una Scuola Italiana. La vite cava consente al tessuto fibroso di entrare nelle sue maglie per poi tramutarsi in osso; intuisce anticipatamente il principio biologico della stabilità implantare raggiunta per "ritenzione ossea". Al congresso AMDI di Stresa, del 1952, presenta un caso di un paziente con protesi fissa sui suoi impianti a spirale.
Tra il 1952 e il 1956 in Uruguay si sviluppa una scuola di implantologia endodontica - transradicolare, con J. Bruno e J. De Alsina, che adotta la tecnica di trafiggere le radici dentarie instabili, con perni fusi su misura, realizzati previo rilievo di impronta intraradicolare.
Nel 1957-58 sono gli Allievi di Formiggini ad essere protagonisti.
Innanzitutti: Ugo Pasqualini, trentino di Casello Tesino, professionalmente affermatosi a Milano. Questi, tra il 1957 ed il 1961 compie la prima sperimentazione, scientifico-universitaria, di istologia implantare-sommersa; studia l'OSTEOANCHILOSI IMPLANTARE e dimostra l'OSTEOGENESI RIPARATIVA. Allo scopo sacrifica 28 cani, cui impianta 91 impianti alloplastici. I risultati sono pubblicati sulla "Rivista Italiana di Stomatologia" nel 1962. Così anticipando le conclusioni sperimentali di scuola svedese.
Galluzzo pubblica una ricerca istologica relativa ad un caso di implantologia eseguito da Pini-Sordo e controllato dopo anni da Zepponi, che pure costruisce una sua vite.
Stefano Tramonte, nel 1959, progetta l'impianto endosseo a vite-piena, e lo realizza in cromo-cobalto-molibdeno mediante la tecnica della "cera persa". Stimolato dai successi clinici, adotta successivamente identiche viti in acciaio chirurgico, prodotte al tornio. I suoi impianti si rivelano idonei al CARICO IMMEDIATO.
H.G. Orlay, inglese, nel 1960 pubblica i suoi lavori sull' implantologia endodontica-transradicolare importata dal sudamerica, ove primeggia, in Argentina, Ritacco. Anche Lincow li adotta, proponendo poi un modello modificato con filettatura.
Anche all’estero Formiggini incontra proseliti. Lo spagnolo Andrei Perron forgia una vite molto simile a quella di Zepponi. Il francese Chercheve, nel 1961, segue il solco tracciato da Formiggini e propone la sua “Vite Cava di Chercheve”, incontrando favori. Anche Lehman apporta il suo contributo.
Contemporaneamente, Jacques Scialom, a Parigi, propone l'uso di aghi in tantalio, inseriti divergenti nell'osso ed uniti con resina, allo scopo di creare un moncone di supporto alla protesi dentale e fonda la S.O.I.A. (Société Odontologique des Implants-Aiguilles - Società Odontologica degli Impianti ad Ago)
Nel 1962, Giordano Muratori, bolognese, illustre Allievo di Formiggini, propone la nota “Vite Cava di Muratori”, un cestello ritenuto nell'osso mediante "OSSIFICAZIONE" al suo interno. E avvia una Scuola italiana che ben presto valica i confini nazionali: il G.I.S.I. (Gruppo Italiano Studi Implantari), organizzando apprezzati Corsi e Congressi, che diffondono notevolmente l’implantologia. Intuisce anche l’importanza dell’ "IMPLANTOLOGIA DI PROFONDITA' ", avviando le prime riflessioni di Biomeccanica Implantare e dell' "ISOTOPIA IMPLANTARE", cioè dell’inserimento di un numero di impianti quanto più vicino ai denti da reintegrare. Muratori comprende l'importanza dell'iterazione funzionale tra i singoli impianti, per conferire unità alla struttura plurimplantare e quindi mantenere il successo clinico.
Sempre nei primi anni ’60 Linkow, con le lame implantologiche di sua ideazione, accende il grande interesse. Tali lame sono in seguito modificate sia dallo stesso Linkow, e poi da altri Ricercatori. Emergono: U. Pasqualini che propone la “Lama Polimorfa a Due Tempi”, Antonio Pierazzini, toscano, con la “Maxilama”, Stefano Tramonte con la “Lama Universale “ e la “Lama Mentoniera”.
Nel 1963 è ancora Linkow a progettare l’impianto “Vent Plant”, vite cava fenestrata.
Ed è ancora S. Tramonte, tra il 63-64, che introduce l'uso del TITANIO, mutuandolo dalla proteseologia ortopedica; avvia la produzione e la commercializzazione del suo noto impianto monolitico a vite autofilettante nella sua forma pressoché definitiva, cui si ispirano poi numerosi altri pionieri dell’implantologia. Disegna anche una vite a moncone rimovibile ed orientabile, ma ottiene più consenso con la vite a moncone fisso. Gli è riconosciuta validità anche all'estero.
Marini e Pierazzini producono viti monolitiche simil-Tramonte.
Negli anni 60 si sviluppa anche l’ Implantologia ad Aghi, ideata da Scialom.
Ugo Pasqualini nel 1968, primo al mondo, compie studi di istologia perimplantare.
Antonino Tamburo De Bella , nel '68, fonda la S.O.I.A. italiana, sezione della Société Odontologique des Implants-Aiguilles (Società Odontologica degli Impianti ad Ago) ed avvia la pubblicazione del Bollettino Odonto-Implantologico. In Francia, al VI Seminario Internazionale sugli Impianti ad Ago (Marly-Le-Roi 1968), viena presentata la "saldatura in bocca degli aghi in tantalio". Primi fiduciari italiani: Petitto, Ghirardi, Pase, Maranini, Staffolani, La Grassa. Poi seguiti da: Pallotta, Piazzini, Pappalardo, Manfredi, Treves, Mondani, P. Pirovano, Montecucco, Magni, Venerando, Perni, Quaranta, Tauri, Fagan-Serblin. Ed ancora: Pellegrini, Rotondo, Galli, Baroncino, Bottino, A. Dal Carlo, De Benedictis, Tosi
Nel 1969 Standhaus propone viti endossee in zaffiro sintetico.
Del 1970 sono le “Lame su Misura” di Muratori.
Nel 1971 Muratori organizza con successo il 1° Meeting Internazionale degli Impianti e Trapianti Dentari del GISI, che avrà poi cadenza semestrale (Congresso a primavera e Cenacolo in autunno).
Sul Bollettino Odonto-Implantologico (Organo Ufficiale SOIA Italiana n.16 -1971) è pubblicizzata la WEBTRONIC, apparecchio che consente "la saldatura elettrica a vivo": "...una leggenda che diventa realtà..."
Del 1972 le “Barre Subcorticali” e le “Lame Polimorfe Senza Moncone” di U. Pasqualini.
Del 1973 l’impianto “Transcorticale” di Pasqualini-Russo.
Nel 1978 il genovese Mondani, perfeziona la “Saldatrice Endorale” idonea a solidarizzare tra loro, direttamente in bocca, la parte emergente transgengivale degli Aghi di Scialom, e delle viti emergenti in titanio, consentendo di costruire solide strutture a tripode e/o a palizzata (muretto), idonee a immobilizzare gli impianti e poi a reggere il carico protesico, distribuendo le forze masticatorie mediante "splintaggio implantare".
Dino Garbaccio, nel 1972, progetta e realizza la vite omonima, autofilettante e monolitica, nella versione definitiva e propone la geniale tecnica denominata “Transcorticalismo” che consiste nell’impattare la vite autofilettante nell'osso compatto, ottenendo una fissità primaria e quindi una quiete implantare fondamentale per il successo clinico dell’impianto.
Sebastiano Lo Bello, che esercita a Trento, Docente all'Università di Pisa, propone tra il 1971 ed il 1979 varie morfologie implantari: il "T" Semplice, il "T" a Croce ( o Misto), il FIAL (Forcella Intracorticale Abbracciante), la vite Bipasso in Titanio con stabilizzatori e la Lamina LBL. Pubblica "Implantologia Orale" nel 1976 e "ImplantoChirurgia Orale" nel 1982.
La “Vite Rapida” di Ugo e Marco Pasqualini è del 1980.
Tutti i sopraccitati ricercatori, che scoprono l'implantologia e la diffondono, non impostano un coordinamento scientifico efficace e sistematico. Talvolta sono anche in competizione tra loro. Salvo eccezioni, c'è ancora tanto empirismo ed autoreferenziazione. Ovviamente non convincono il Mondo Accademico, che stenta ad accreditare ufficialmente l'implantologia in toto.
... dall'85 in poi l'implantologia come scienza, non può può essere scritta come storia,
perchè è troppo recente
e troppo importanti sono le volontà di egemonia scientifica,
le pressioni commerciali e gli interessi
che rendono inevitabilmente "partigiana" ogni verità declarata...
(A. Zaninari)
Post 1985. L'epopea di Branemark
La seconda metà degli anni 80 è dominata dalla diffusione della nuova dottrina implantare diffusa dallo svedese Branemark: l' “OSTEOINTEGRAZIONE”.
E’ denominata anche “Nuova Implantologia” o “Implantologia Moderna”, contrapposta alla "Classica", ed anche “Implantologia Osteointegrata”.
Il Ricercatore, che non è Dentista, rende noto, con metodica scientifica ineccepibile, quanto i vecchi clinici avevano intuito, ma non metodologicamente evidenziato.
Tale dottrina conquista rapidamente l'Industria ed anche l'Università, che, salvo eccezioni, era scettica nei riguardi dell'implantologia.
L' Ateneo di Pisa, attiva nell'anno accademico 1998-1999 il primo Master italiano in Implantologia per Odontoiatri.
Direttore è il prof. L. Sbordone, già in collaborazione scientifica con Branemark, cui va riconosciuto il contributo dell'avvicinamento della paradontologia all'implantologia.
Anche la scuola italiana, monolitica-elettrosaldata, degli emergentisti, a fine anni 90 si affina, imposta metodi di studio e ricerca moderni.
Con Apolloni, che aggiungendo le staffe e le emistaffe iuxtaosse all'implantologia endossea multitipo elettrosaldata, consente talvolta di evitare gli interventi di rialzo del seno mascellare.
Con Lorenzon, che in collaborazione con il Politecnico di Torino svolge studi di biomeccanica implantare, spiega scientificamente i fondamenti dell' implantologia emergente elettrosaldata ed avvia il processo di accettazione del metodo in ambito Accademico.
Dal 2000
Misch prosegue gli studi di Branemark, evolvendoli in applicazione alla pratica clinica.
Stefano Fanali e Adriano Piattelli, docenti all'Università "G. d'Annunzio" di Chieti - Dipartimento di Scienze Odontostomatologiche (Direttore prof. Caputi) - aprono le porte dell’Università a tutte le metodiche implantologiche.
In particolare si studia l'implantologia elettrosaldata.
Nel 2007, in Roma, si costituisce la IAfIL - International Academy for Immediate Loading, con lo scopo di promuovere e sviluppare lo studio del carico immediato.
Si è avviata, in Italia, una fase mediativa.
Il mondo implantologico si riunisce e "riscopre" il carico immediato, il corticalismo, l'automaschiamento del mezzo implantare, fin anche lo splintaggio implantare.
Il vecchio ed il nuovo si incontrano grazie al critico apporto di implantologi come Palumbo e Danza.
Vedi anche gli articoli:
"L'unica Implantologia: la polemica"
"Illusioni sui denti piantati nell'osso" di G. Re
"L'evoluzione dei materiali utilizzati in Implantologia" di P. Zampetti
"Implantologia: storia scherzosa, ma quasi vera" di M. Apolloni
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